Relazione della Segretaria regionale Maddalena Gissi in apertura dei lavori dell’Assemblea Nazionale CISL Scuola a Trento

Trento non è solo una bellissima città, è un luogo intriso di storia, richiama eventi di portata
straordinaria, per significato e valore. Sono quasi 500 gli anni trascorsi dall’inizio del grande Concilio
Ecumenico, che vedeva la Chiesa costretta a misurarsi col trauma della Riforma protestante e con
l’esigenza pressante di un suo profondo rinnovamento. E dista poco più di 50 i chilometri da qui
Pieve Tesino, il paese che diede i natali, 140 anni or sono, ad Alcide De Gasperi, cui fu affidato
nell’immediato dopoguerra il compito di avviare e guidare un percorso arduo e difficile di rinascita
per l’Italia dopo la tragedia del secondo conflitto mondiale.
Dice il Presidente Mattarella, nella sua Lectio degasperiana in occasione del settantesimo
anniversario del Patto Italia Austria, con il quale fu definito il percorso per l’autonomia di quest’area
geografica, che la scelta repubblicana del 1946 non sarebbe stata possibile senza il coraggio e la
visione da statista di Alcide De Gasperi che, più delle difficoltà materiali, temeva quelle morali e
spirituali di un popolo oppresso, economicamente e socialmente prostrato, dalla sofferta esperienza
democratica.
Un costruttore tenace di una diversa idea di Patria; una bella definizione che abbiamo risentito
spesso negli ultimi mesi e che ci riporta alla dimensione che stiamo vivendo in ambito nazionale.
Trento, come luogo in cui riunirsi a ragionare e riflettere, a confrontarsi e discutere, fatte le debite
proporzioni con eventi e personaggi appena citati, è dunque una scelta in qualche modo ambiziosa
e impegnativa.
Impegnativa lo è certamente la fase che stiamo vivendo, come gente di scuola, ma più in generale
come persone che stanno condividendo da mesi, col mondo intero, un’emergenza pandemica
globale (per inciso, ricordo che lo stesso Concilio di Trento dovette trasferirsi temporaneamente a
Bologna a causa di un’epidemia di peste, oltre che per fattori diversi e di altra natura).
Sull’impegno che l’emergenza ha comportato e comporta non c’è bisogno di spendere parole: alle
tragiche conseguenze di natura sanitaria si accompagnano pesanti ricadute di tipo economico e
sociale, da assumere come doverosa priorità da parte di tutti, istituzioni, forze politiche, forze
sociali. È di pochi giorni fa l’intesa fra Governo, sindacati e imprenditori per evitare che la fine del
blocco dei licenziamenti innescasse un ulteriore aggravamento della situazione per il nostro Paese,
in cui il tasso di povertà è salito, nel 2020, dal 6,4% al 7,7%: sono due milioni di famiglie, oltre 5,6
milioni di persone (quasi il 10% dell’intera popolazione), il dato più alto dal 2005.
La presenza fra noi di Luigi Sbarra, che concluderà dopodomani il nostro Consiglio Generale, ci darà
modo di raccogliere una testimonianza “di prima mano” sul senso di un’intesa che conclude
positivamente una fase di mobilitazione condotta con responsabilità e lungimiranza, alla quale
anche la nostra categoria ha dato un rilevante contributo.
Se il primo obiettivo è quello di evitare che l’emergenza ci travolga con danni irreparabili, lo sforzo
da compiere è quello di far sì che l’uscita dalla pandemia avvenga attraverso scelte di rinnovamento
e cambiamento rispetto alle tante criticità preesistenti, che l’emergenza pandemica ha messo in
particolare risalto.
Dobbiamo proprio alla tenacia di Luigi Sbarra l’istituzione di un fondo di 50 mln per il potenziamento
di competenze e riqualificazione professionale; risorse che saranno utili per favorire piani di
riconversione e il reimpiego di tanti dipendenti delle aziende in crisi. Ancora una volta la Cisl si
distingue per la forte concezione contrattualista unita a una lungimiranza che fanno di noi un
sindacato capace di proporsi sempre come attuale e nuovo. Spetta a noi quindi l’avvio di un lavoro
più dettagliato ed approfondito per la messa a punto di tutti gli strumenti normativi e contrattuali
che ci faranno recuperare il tempo trascorso in una bolla di ansie e di paura dalla quale usciremo
solo se insieme affronteremo le difficoltà che abbiamo di fronte.
Facciamo nostro un passaggio dell’introduzione al PNRR trasmesso dal Governo Italiano alla
Commissione Europea, laddove afferma che “il NGEU rappresenta un’opportunità imperdibile di
sviluppo, investimenti e riforme. L’Italia deve modernizzare la sua pubblica amministrazione,
rafforzare il suo sistema produttivo e intensificare gli sforzi nel contrasto alla povertà, all’esclusione
sociale e alle disuguaglianze. Il NGEU può essere l’occasione per riprendere un percorso di crescita
economica sostenibile e duraturo rimuovendo gli ostacoli che hanno bloccato la crescita italiana
negli ultimi decenni”.
Fare della crisi un passaggio di miglioramento e crescita, un’esortazione che da Seneca in poi è stata
più volte ripetuta nella storia dell’umanità.
“Dalle difficoltà alle opportunità” fu anche lo slogan scelto dalla CISL per il suo congresso del 1993,
non a caso in un passaggio cruciale delle nostre vicende politiche e sociali: gli anni in cui fummo
chiamati, come sindacato, a farci carico di una tenuta complessiva del Paese, scosso dalla vertiginosa
caduta di credibilità e prestigio della politica dopo Tangentopoli. Facemmo fronte a quel compito
con la forza che ci veniva dal saldo radicamento nel mondo del lavoro, ma ancor più con la qualità e
l’efficacia delle nostre proposte e di un modello di relazioni sociali concertative che fece della CISL
l’indiscusso protagonista di quella stagione.
Si deve alle scelte compiute in quegli anni, fra l’altro, il passaggio a una regolazione del lavoro
pubblico attraverso modalità pienamente contrattuali. Le ripetute e ricorrenti incursioni in ambiti
contrattuali e le tentazioni di riconsegnare alla legge materie e prerogative, a scapito della
contrattazione, ci dicono insieme la bontà di quelle scelte e l’attualità del nostro impegno, anche
oggi, in loro difesa.
Ecco dunque l’ambizione di cui dicevo: l’ambizione di chi sa di essere portatore di idee, di valori, di
una cultura che non teme le sfide del cambiamento, ma tende invece a farsene protagonista, per
far sì che il cambiamento sia rivolto verso orizzonti di “bene comune”. Questa l’ambizione che
abbiamo, come CISL con la proposta di Patto sociale per superare la crisi e come CISL Scuola
attraverso la piena esigibilità dei contenuti del Patto per l’istruzione sottoscritto a Palazzo Chigi con
il Ministro Bianchi: Trento può essere per questo il luogo giusto in cui riaffermarla e rilanciarla.
Molti di noi ricorderanno che proprio qui si svolse, nel 2008, un seminario della CISL Scuola mosso
anche allora da un’analoga ambizione, quella di confrontarsi con le spinte a rinnovare il nostro
sistema scolastico, a risolverne criticità e punti di debolezza, a rilanciarne il profilo verso una
necessaria crescita di qualità. “Entrare nel merito” era il tema di quel seminario, incentrato sui temi
dell’efficacia e dell’efficienza della scuola italiana, che vide dialogare con noi nomi prestigiosi, con
molti dei quali si è mantenuta negli anni seguenti una proficua, stimolante e costruttiva relazione:
Alberto Felice De Toni, Tiziano Salvaterra, Arduino Salatin, Piero Cipollone, Damiano Previtali,
Antonio Giolo, Dino Cristanini.
Il 2008 si sarebbe tuttavia rivelato anch’esso un anno cruciale, perché dal congiungersi degli eventi
politici (caduta del governo Prodi, vittoria del centro destra alle elezioni) con quelli economici,
segnati dalla grande recessione conseguente alla crisi finanziaria americana, prese avvio una
stagione di tagli e restrizioni che si sarebbe protratta per anni, contribuendo ad accentuare e
aggravare sempre più il ritardo che il nostro Paese sconta, rispetto all’Europa, quanto a capacità e
volontà di investimento in istruzione.
Quanto è attuale la condizione delle nostre scuole in termini strutturali prevista dal decreto 81 nel
2008 e quanto è incompiuta la sua piena applicazione in assenza di indicazioni specifiche per le
istituzioni scolastiche e per gli altri soggetti responsabili degli edifici, come gli Enti Locali!
E inizia proprio nel 2008, come ho detto poco fa, la deriva che ridurrà l’istruzione a un mero centro
di costo, con effetti devastanti in termini di offerta formativa, orari e tempo scuola; un’inversione
di tendenza che ancora non riusciamo a neutralizzare del tutto nonostante gli sforzi che come
sindacato abbiamo fatto in anni difficili e con una politica non sempre pronta e disponibile a
considerare la scuola come bene comune.
Di quel seminario facemmo comunque tesoro, qualificando sempre più la nostra presenza anche su
temi indubbiamente delicati e complessi (li abbiamo talvolta definiti “urticanti”) che altri,scegliendo
la via più comoda della ricerca di immediati e facili consensi, hanno spesso preferito eludere o
esorcizzare.
Noi non lo abbiamo mai fatto, fedeli a una cultura e a un’identità che da sempre ci distingue e che
fa della CISL un sindacato serio, responsabile, lungimirante, e proprio per questo punto di
riferimento sicuro e affidabile per i lavoratori e per l’intero Paese.
È in questo modo che abbiamo potuto e saputo svolgere il nostro ruolo anche in quegli anni così
difficili, presidiando faticosamente il terreno del confronto e della contrattazione, mentre altri
sceglievano un antagonismo certamente più comodo, ma del tutto sterile e improduttivo.
“I nostri risultati in anni difficili”, così recitava il sottotitolo di un nostro dossier, “A carte scoperte”,
che fu senz’altro anche uno sfogo rispetto alla valanga di contestazioni che in quella stagione ci
venivano rivolte, ma soprattutto metteva in chiaro l’enorme differenza che passa tra chi sa
spendersi per affrontare e risolvere i problemi e chi si limita soltanto a cavalcarli. Uno sport che non
ci possiamo permettere, o meglio: che non abbiamo alcuna attitudine o interesse a praticare.
Ricordo bene gli attacchi ricevuti, anche da forze politiche allora prorompenti, per aver firmato il
contratto 2016/2018, sul quale in tanti hanno costruito narrazioni ostili per poi ritornare sui propri
passi e firmare a distanza di mesi. E non dimentico le nostre posizioni chiare alla vigilia delle elezioni
di marzo 2018, quando con determinazione avanzavamo le nostre proposte alle forze politiche con
il solo obiettivo di riportare la scuola al centro del dibattito del Paese. Parlavamo allora di una
Conferenza Nazionale per la Scuola, tema ripreso – e ci fa piacere che avvenga – dal Ministro Bianchi
non molti giorni fa.
È importante riprendere ogni tanto passaggi e contenuti della nostra storia; molti dirigenti sindacali
non hanno vissuto direttamente quei momenti ma possono ritrovare le radici del nostro percorso,
la coerenza delle nostre scelte; in molte occasioni le esperienze trascorse, e ormai anche abbastanza
lontane, che proprio la lontananza ci aiuta a cogliere nel loro giusto valore e significato, ci
permettono di analizzare, rivalutare e apprezzare il lavoro fatto.
Non è un amarcord, ma una modalità che ci riconduce all’oggi con la consapevolezza di chi deve
saper scegliere anche perché ha una storia da difendere e da rappresentare; una dimensione
valoriale che non può essere marginale e una caratterizzazione contrattualista e riformista che non
dobbiamo mai rinnegare.
Lo dico pensando alle vertenze che anche in questi giorni ci vedono impegnati, rispetto alle quali
vorrei che anche i lavori di questa assemblea aiutassero a inquadrarle nella loro giusta dimensione.
È sempre più difficile affermare un protagonismo concertativo, al centro della nostra visione delle
relazioni sociali, che non si esaurisce in rivendicazioni miopi e di corto respiro, circoscritte a pochi e
limitati interessi, magari a scapito di un interesse più generale. Il nostro impegno costante in tema
di reclutamento e precariato, tanto per venire alla più stringente attualità, non ha niente da spartire
con la demagogia irresponsabile di chi chiede, o promette, l’assunzione di duecentomila precari, più
o meno il doppio delle effettive vacanze di organico. La nostra posizione è quella di un sindacato
serio che persegue obiettivi ragionevoli e plausibili.
Ma c’è un’altra cosa che voglio dire con estrema chiarezza: la battaglia contro l’abuso di lavoro
precario è parte integrante di quella che punta a un più giusto, equo e dignitoso riconoscimento del
valore del nostro lavoro. Per tutti, per quel milione e più di persone che fanno viva e presente ogni
giorno la nostra scuola in ogni angolo d’Italia.
Non è segno di giusta attenzione, né di riguardo per la scuola e la funzione che svolge, il fatto che la
percentuale di lavoro precario arrivi a sfiorare e forse a superare la soglia del 25%.
Le conseguenze nefaste di una situazione del genere non sono soltanto quelle direttamente patite
da chi lavora precariamente per anni e anni: è l’organizzazione del sistema a soffrirne, con
disfunzioni e disagi che si ripercuotono su tutto e su tutti.
Non stiamo chiedendo sanatorie, come sostengono i nostri detrattori: abbiamo elaborato e stiamo
portando avanti proposte che non hanno nulla da invidiare, in termini di doverosa attenzione alla
qualità professionale, rispetto agli slogan e alle banalizzazioni cui fanno ricorso tanti “sbandieratori
della meritocrazia”. Sia quelli di lungo corso (come Cassese), sia quelli di più recente conversione
(come l’ex sindacalista Azzolina). Per costoro la formula magica esiste, ed è quella dei concorsi per
esami. Panacea di ogni male, fonte di ogni bene. Convinzioni che non vengono scosse nemmeno
quando passano provvedimenti che riducono la prova scritta a un banale quizzone; o quando
qualche sostenitore “usque ad mortem” dei concorsi deve prendere atto che l’agognato vaglio
concorsuale ha lasciato fuori dalla porta docenti di lunga e sperimentata capacità, qualità e
competenza.
E che dire del precariato nell’area del personale ATA? Qui non ci sono questioni ideologiche sullo
strumento da utilizzare per la selezione, ma assistiamo ugualmente a una costante violazione delle
norme comunitarie sul lavoro a termine e ad assunzioni in ruolo fatte ogni anno con il contagocce.
In questo caso non sventola nemmeno il vessillo della meritocrazia, la parola d’ordine è una sola, e
ossessiva: risparmiare, risparmiare, risparmiare.
Le nuove modalità concorsuali hanno spento anche le speranze del Ministro Brunetta (meglio
sarebbe chiamarle illusioni!), che pensava di risolvere in 100 giorni il problema della mancanza di
competenze nella gestione del PNRR al SUD: 102.000 concorrenti per 2.800 posti a tempo
determinato, si sono presentati in 37.000 (36,2%), sono risultati idonei 1.484, potranno essere
assunti solo in 821. Un grande flop; ma come si può pensare che un professionista della
programmazione europea partecipi ad un concorso che ha ben poco di attrattivo, offrendo solo un
impiego a tempo determinato?
Anche noi stiamo facendo uno sforzo per far capire che le procedure di accesso all’insegnamento
devono essere semplificate e lineari; investire sul futuro partendo dagli sbarramenti iniziali non è la
soluzione del problema.
Anche i primi esiti delle prove concorsuali STEM, con percentuali di bocciatura a dir poco eclatanti,
dovrebbero indurre tutti a qualche riflessione. Delle due l’una: o il nostro è un sistema che si affida
irresponsabilmente, e per una parte considerevole del personale, a veri e propri incapaci, che si è
disponibili a tenere in servizio per anni e anni, purché non chiedano di essere stabilizzati; oppure ad
essere tutt’altro che perfetto e affidabile è proprio il meccanismo di selezione utilizzato, sulla cui
giusta taratura è lecito, ma vorrei dire doveroso, avanzare almeno qualche dubbio. Lo voglio dire a
tutti, e in particolare a chi, di fronte ai primi risultati delle prove, ha pensato bene di richiamarci a
maggiore cautela nel sostenere le ragioni dei precari. Un invito che mi sento in pieno diritto di
rispedire subito al mittente.
Noi siamo per nostra natura aperti al confronto, alla discussione e alla valutazione critica delle
nostre idee e delle nostre proposte: ma respingiamo con forza, perché del tutto falsa, l’accusa
secondo cui staremmo trascurando l’esigenza di un’elevata qualità culturale e professionale come
requisito di cui deve disporre chi accede al lavoro nella scuola. Un’accusa che sarebbe facile
rilanciare, rivolgendola a chi accetta, senza battere ciglio, che un quarto dei posti di insegnamento
sia coperto da personale precario, della cui formazione in servizio ci si cura evidentemente poco o
nulla, visto quanto accaduto, ad esempio, con le risorse della card. L’invito, che alla luce di quanto
sta accadendo in questi giorni è un invito accorato, è di schiodarsi una volta per tutte dall’insulsa
diatriba concorsi sì – concorsi no.
Il modello di reclutamento che vorremmo vedere portato a sistema non trascura affatto la necessità
di garantire alla nostra scuola la giusta qualità professionale: un’esigenza che dev’essere soddisfatta
“oltre che con percorsi di studio di elevato profilo, con modalità di reclutamento che prevedano in
ogni caso la presenza sistematica di consistenti azioni formative, quale che sia il canale di selezione
considerato (concorso per titoli ed esami, canale per soli titoli). Non si vede infatti per quale ragione
il superamento di un concorso ordinario possa di per sé attestare il possesso dei requisiti e delle
attitudini richiesti per l’esercizio dell’insegnamento, né per quale motivo debba essere disconosciuto
il valore anche formativo dell’esperienza accumulata in anni di insegnamento, che andrebbe
casomai supportata da azioni formative opportunamente mirate”. Sto citando testualmente ciò che
scrivevamo in un nostro dossier nel dicembre del 2018.
La nostra linea è questa: a questa linea ci stiamo attenendo con chiarezza e coerenza. La
valorizzazione dell’esperienza di lavoro come fattore che sostiene e rafforza la qualità professionale
è peraltro uno degli assi portanti delle nostre posizioni anche per quanto riguarda il personale ATA,
in particolare sulla spinosa questione degli assistenti amministrativi facenti funzione, così come ci
stiamo facendo carico delle giuste attese dei docenti IRC, anch’essi esposti a una crescente
precarietà dei contratti.
Organici adeguati, coperti il più possibile con rapporti di lavoro stabili, è l’obiettivo che vogliamo
perseguire, sapendo che rappresenta una delle premesse indispensabili, senza le quali diventa
molto difficile garantire un buon funzionamento del sistema.
La scuola e il lockdown
Come abbiamo affrontato, a partire dal febbraio del 2020, questo periodo di emergenza, tanto lungo
da sembrare a volte interminabile? Certamente con preoccupazione, in qualche momento con
angoscia, ma sempre e comunque con grande senso di responsabilità. Quella responsabilità di cui il
Paese intero ha dato prova e che in alcuni settori, come quello sanitario, ha visto il senso del dovere
trasformarsi in vera e propria abnegazione. Per questo gratitudine e riconoscenza non saranno mai
abbastanza.
Per noi si è trattato di reinventare il nostro lavoro: ciò ha evitato che il lockdown si traducesse in un
blackout del diritto allo studio. Tra mille difficoltà, abbiamo fatto tutto il possibile perché la scuola
potesse continuare a svolgere la sua funzione preziosa anche se le sue porte erano costrette a
rimanere chiuse.
Non sono mancati certamente i problemi, né hanno aiutato a risolverli i rapporti spesso difficili con
un Ministero che, fino al cambio di governo del febbraio scorso, si è spesso rinchiuso in
atteggiamenti autoreferenziali e di scarsa disponibilità al confronto e al coinvolgimento. Sarebbe
stato un comodo alibi – e magari per qualcuno lo è stato – per sottrarsi alla fatica che comportava
misurarsi anche sindacalmente con una situazione inedita, carica di novità e imprevisti. Per noi non
è stato così; abbiamo anzi chiesto e ottenuto che fosse frutto di intesa fra le parti la regolazione
delle modalità di lavoro indotte dall’emergenza, firmando prima il CCNI sulla didattica a distanza e
poi l’intesa sul lavoro agile del personale ATA.
Non sono stati mesi facili, quelli che abbiamo vissuto; la speranza è di poterne presto parlare solo
al passato, ma senza dimenticare le lezioni che ne abbiamo tratto. La pandemia ha sottolineato
quanto siano presenti e marcate le disparità e le disuguaglianze tra aree territoriali nel nostro Paese.
Ci ha mostrato quali effetti negativi possono derivare da eccessi di conflittualità fra Stato e Regioni,
che hanno determinato spesso disorientamento e sconcerto. Ma anche i danni che può fare la
politica quando non sa resistere alla tentazione di cavalcare strumentalmente persino gli inevitabili
disagi indotti da un’emergenza.
Per una parte considerevole della popolazione scolastica l’impossibilità di frequentare la scuola, per
molti mesi, si è associata alla difficoltà e spesso all’impossibilità di avvalersi della didattica a distanza.
Un danno enorme che sarebbe grave e imperdonabile sottovalutare. Altra cosa è avallare il concetto
per cui i mesi nei quali si è fatto ricorso alla didattica a distanza siano da considerare “tempo perso”.
Non è così.
Nessuno ci deve spiegare che la dimensione più vera e autentica del fare scuola è quella in presenza:
è una convinzione che abbiamo da sempre e che non è mai venuta meno, una convinzione che ci ha
reso ancor più determinati nel chiedere che si facesse tutto il necessario per garantire a ogni nostra
scuola il necessario per rimanere aperta in sicurezza. È del maggio 2020 il nostro dossier “Ricominciare”, come contributo alla definizione di un piano strategico per il rientro a scuola il
successivo settembre. Ma quante negligenze, quante insufficienze, quante latitanze ci è toccato
registrare allora, e in questi mesi così lunghi e sofferti!
Mesi nei quali il mondo della scuola ha lavorato con impegno e generosità, purtroppo non sempre
riconosciute. Mesi che sono stati anche occasione di una crescita professionale non irrilevante: si
sono sperimentate in modo ampio e diffuso modalità nuove e diverse di fare scuola, si sono acquisite
nuove competenze nell’utilizzo di strumenti e linguaggi, si è acquisito in sostanza un bagaglio di
esperienze innovative che può diventare valore aggiunto nel dopo pandemia, facendo della crisi
attraversata un’occasione di crescita e di miglioramento, come vogliamo che sia. Una volontà che
sono in molti a esprimere, ma che non può restare solo un’affermazione retorica: perché si
concretizzi servono idee, progetti, risorse.
Rilanciare la scuola
Le nostre le abbiamo delineate in modo chiaro già nel dicembre scorso, con un altro corposo
documento (“Rilanciare la scuola”) che ha riscosso da più parti grande interesse e attenzione. Era
stato, allora, anche un modo per marcare la nostra identità e affrancarci da letture nelle quali il
mondo sindacale viene rappresentato in modo sommario, generico, indistinto, riservandogli spesso
giudizi non proprio benevoli. È un rischio che si corre quando si sceglie di far prevalere il bisogno di
unità; un’esigenza di cui ci siamo sempre fatti carico, ma che non può significare appannamento dei
valori di riferimento e men che meno complicità o acquiescenza a pulsioni demagogiche, riflesso
anche della qualità non esaltante che esprime oggi la dialettica politica nel nostro Paese.
L’intenzione dichiarata del nostro lavoro era di offrire indicazioni e proposte su ciò che ritenevamo
necessario fare perché il dopo pandemia vedesse un rilancio di attenzione e di investimenti per il
nostro sistema scolastico. In sostanza, un nostro contributo al dibattito sul piano Next Generation
EU, allora in gestazione, partendo da due fondamentali premesse: la prima era la convinzione che
l’emergenza pandemica avesse reso evidente l’importanza e la centralità del sistema scolastico e
formativo, come fattore di sviluppo in termini di coesione sociale, cittadinanza e coscienza civile, e
come elemento strutturale di sostegno alla nostra organizzazione economica. La seconda, la
necessità di aprire una stagione di forte investimento nel sistema di istruzione e formazione, dopo
anni di tagli e di scarsa cura, rafforzando la rete di supporto all’autonomia scolastica, costretta –
specie in alcune aree del Paese – in condizioni insostenibili di abbandono e isolamento.
Da qui la consapevolezza, e la convinzione, che il dopo pandemia chieda alla scuola di rigenerarsi,
risolvendo antichi e recenti problemi ma soprattutto aprendo a modalità nuove e diverse di
intendere il ruolo dell’istruzione e il suo protagonismo nella società, a fronte a grandi questioni che
attraversano il nostro tempo, dalle tematiche ambientali ai flussi migratori, dall’emergere sempre
più prepotente delle disuguaglianze alla necessità di contrasto alla povertà culturale ed
educativa, alla sfida rappresentata dalle potenzialità delle nuove tecnologie anche nei processi di
insegnamento/apprendimento.
Il PNRR
È stato lungo e tenace il lavoro di costruzione, di concertazione, di intervento, spesso tenuto
opportunamente riservato, che abbiamo continuato a svolgere in questi mesi di grandi
progettazioni, di sguardi verso un futuro in cui, come non avveniva da molto tempo, la disponibilità
di risorse economiche sembra rendere possibile che le idee divengano realtà.
Grazie anche al clima nuovo e di positiva apertura al dialogo che si è respirato con l’insediamento di
Patrizio Bianchi al vertice del Ministero dell’Istruzione, abbiamo offerto il nostro contributo sul
Piano nazionale di ripresa e resilienza, persino proponendo rifiniture lessicali (in alcune bozze si
parlava di scuola materna o si pensava di proporre l’apertura delle scuole oltre l’orario curricolare,
piuttosto che, come poi si è scritto, consentire di mettere a disposizione dell’intera comunità
territoriale le strutture sportive, nuove o riqualificate, al di fuori dell’orario scolastico attraverso
convenzioni e accordi con le stesse scuole, gli enti locali e le associazioni sportive e dilettantistiche
locali. Discorso quest’ultimo evidentemente esplicitato in termini completamente differenti). Ma le
interlocuzioni sono state soprattutto sostanziali, ad esempio sulla ventilata obbligatorietà dei test
Pisa/Invalsi o sull’inizialmente non previsto inserimento della scuola secondaria di primo grado nelle
azioni sull’orientamento, sino allo smussamento di alcuni spigoli presenti nel testo circa la
formazione in servizio. E se il recupero dei divari territoriali è l’azione intorno a cui si coagulano ed
assumono particolare significatività altre misure, dall’estensione del tempo scuola alla maggiore
diffusione dei nidi, la questione della formazione in servizio del personale della scuola rimane
cruciale e rappresenta una sfida che deve essere certamente affrontata nel prossimo Contratto
collettivo di lavoro.
L’investimento importante sulla Missione 4, Istruzione e ricerca, deve vederci particolarmente vigili
perché i fondi siano spesi bene e presto, con trasparenza, efficacia e onestà. Ma dobbiamo anche
agire perché a questi fondi previsti nel PNRR e che sono una tantum, si affianchino i necessari
stanziamenti in legge di bilancio che consentano di dare gambe a quelle che altrimenti rischiano di
rimanere cattedrali nel deserto. Occorrono investimenti strutturali e permanenti sul reclutamento,
sulla valorizzazione delle persone, così da dare continuità alle tante innovazioni che si prevede di
realizzare.
Rileggendo le pagine di una storia non proprio lontana come la ricostruzione post bellica, ho
ritrovato un’altra impresa degasperiana: lo sfollamento dai Sassi di Matera definiti la vergogna
d’Italia. Perché il riferimento a quella vicenda, che vi invito ad approfondire, per le sue rilevanti
implicazioni storiche e politiche? Lo faccio perché il PNRR non può, per sua natura, ridursi a soluzioni
di corto respiro. Un investimento alimentato da un debito miliardario deve dare speranza, deve
agire come leva per innescare una rivoluzione, magari “gentile” ma sicuramente profonda e
intelligente. Deve anche restituire ai nostri adolescenti quello che hanno perso: un ambiente
educativo e di apprendimento adeguato; una qualità dell’offerta formativa caratterizzata
dall’inclusione e dalla personalizzazione. I 19 mld per l’istruzione, che in assoluto sembrano cifre
enormi, rappresentano in realtà solo una parte di ciò che servirà al nostro Paese per rimettere in
moto l’ascensore sociale per tutti, a partire dagli ultimi. Il tasso di abbandono di Caltanissetta ha
raggiunto il 22%, a La Spezia è l’1,5%. Un divario che è impossibile tollerare. Chi ripagherà l’Europa
se non ci saranno generazioni con competenze e conoscenze adeguate per governare i processi
anticrisi? Ha poco senso parlare di asili nido in realtà dove l’occupazione femminile non è incentivata
o addirittura è contrastata dal lavoro nero, forzosamente indotto dalla gravità delle condizioni di
povertà familiare. Il PNRR ci mette alla prova; non possiamo fallire.
Il “Patto per la scuola al centro del Paese”
E questa attenzione alle persone, la ritroviamo nel “Patto per la Scuola”, un patto nel quale c’è tanto
di Cisl. A partire dalla previsione di efficaci politiche salariali per la valorizzazione del personale
dirigente, docente e ATA sino allo specifico richiamo all’implementazione del fondo di cui all’art. 1,
c. 592, della legge 7 dicembre 2017, n. 205 e del Fondo Unico Nazionale Dirigenti Scolastici.
Sono previsti ventuno punti. Ancora si insiste sul reclutamento di tutto il personale e sulla necessità
assicurare la presenza di ogni figura professionale prevista dall’organico il primo settembre di ogni
anno, come anche di garantire piani di formazione in servizio efficaci. Ma sono anche previsti
interventi di sistema per rafforzare la rete di supporto all’autonomia scolastica e adottare
provvedimenti legislativi o amministrativi di semplificazione e di armonizzazione, per curare un
sistema malato di burocrazia spesso incomprensibile. In questo contesto la Cisl Scuola ha poi
insistito molto perché fosse previsto un intervento sulle responsabilità del datore di lavoro in tema
di sicurezza negli edifici scolastici distinguendo quelle strutturali in capo ai proprietari degli istituti
da quelle gestionali affidate ai dirigenti scolastici.
In questo insieme di azioni e di continua tessitura, il filo rosso dell’azione confederale e di categoria
è sempre stato quello di promuovere, attivare, sostenere un sistema di relazioni sindacali che
potesse tornare ad essere uno snodo funzionale cruciale per lo sviluppo di nuovi modelli di
organizzazione del lavoro, una occasione di costruzione e innovazione, a partire dall’Atto di indirizzo
per il prossimo contratto nazionale, con un confronto preventivo per nulla scontato. Viviamo una
stagione difficile, dove spesso non si ha piena consapevolezza di ciò che tutti insieme riusciamo a
realizzare. In altri momenti i contenuti del Patto sarebbero stati oggetto di assemblee, presentati
alla categoria con orgoglio e soddisfazione. Oggi invece, dopo l’approvazione quasi contestuale del
decreto sostegni bis, ci ritroviamo ad inseguire proposte parlamentari e adempimenti ministeriali
non sempre coerenti e corrispondenti ai contenuti del Patto. Saranno votati in questi giorni gli
emendamenti in V commissione, alcuni suggeriti, se non proprio scritti, dalla nostra organizzazione.
L’esito è ancora molto incerto, il rischio è che prevalga la logica del “bilancino” tra i partiti, più che
il bene della scuola, e che questa non abbia ancora una volta risposte adeguate alla natura e alla
complessità dei problemi.
Il nuovo contratto
Già sul reclutamento ci siamo trovati a dover constatare quanto fosse difficile, in un contesto che
affida un ruolo prevalente alle ragioni (e al dicastero) dell’economia, ottenere il rispetto di intese e
impegni la cui sottoscrizione era avvenuta a Palazzo Chigi non per caso, o perché ci fossero “lavori
in corso” a viale Trastevere.
Il rinnovo del contratto nazionale, per il quale consideriamo ormai in via di esaurimento i margini di
attesa oltre la nostra pazienza, sarà un altro decisivo passaggio di verifica per misurare la credibilità
dei nostri interlocutori.
Del ministro Bianchi abbiamo apprezzato l’evidente cambio di passo sul terreno delle relazioni con
le parti sociali, così come alcuni elementi di prospettiva e di visione ampiamente condivisibili. Gli
chiediamo, come abbiamo chiesto a tutti i suoi predecessori, di spendersi con energia perché le
ragioni della scuola siano fatte proprie e sostenute coerentemente dal governo nella sua collegialità.
Oggi, data la conformazione della maggioranza che sostiene questo esecutivo, ciò significa una
diretta presa in carico del Presidente Mario Draghi, per evitare il rischio di rimanere impantanati
nella palude dei veti incrociati fra partiti e pezzi di partito in perenne litigio. Al Presidente Draghi
vorremmo anche chiedere, per la verità, di allargare lo sguardo un po’ oltre quella visione
economicista che sembra prevalere nettamente nella cerchia dei suoi consiglieri. Non ascolti
soltanto loro.
Nel contratto che andremo a rinnovare non saranno pochi i nodi da sciogliere, tra cui quelli legati
alle nuove modalità di prestazione di lavoro sperimentate nei mesi dell’emergenza, o quelli
riguardanti la formazione in servizio, non solo sotto il profilo degli obblighi connessi ma per le
opportunità che possono derivarne in termini di valorizzazione professionale. Dovremo fare un
grande sforzo per riportare all’ambito del contratto temi diventati oggetto di infuocate discussioni
e soprattutto di norme che abbiamo contestato con forza: parlo dei vincoli alla mobilità, attraverso
i quali si danno risposte sbrigative a esigenze di continuità che non intendiamo certo ignorare. Sono
temi delicati, che chiamano anche a scelte impegnative e difficili, ma che non possiamo eludere,
pena soccombere a un’invadenza legislativa che è sempre molto arduo contrastare.
Una cosa è certa: non è più rinviabile l’obiettivo di un innalzamento significativo, per l’intero settore,
di livelli retributivi ancora in netto svantaggio rispetto ai trattamenti in atto a livello europeo e, per
la dirigenza scolastica, anche nei confronti delle altre aree dirigenziali del pubblico impiego.
Sappiamo bene che altre e a volte molto gravi emergenze attendono risposta, nei prossimi mesi, nel
nostro Paese. Difficoltà che peraltro investono direttamente anche il nostro settore, nella parte
rappresentata dal sistema delle scuole non statali, alle prese con situazioni di crisi che stanno
mettendo a rischio migliaia di posti di lavoro. Ma una diversa, più giusta e dignitosa condizione
retributiva per tutte le professionalità che rappresentiamo è ormai obiettivo irrinunciabile e
ineludibile per molte ragioni, fra cui quella di restituire al lavoro nella scuola un giusto valore, che
lo renda anche maggiormente attrattivo.
Il Congresso
Non ci fosse piombata addosso la pandemia, molti dei temi che ho toccato solo per cenni in questa
relazione, in particolare quelli legati al rinnovo del contratto, sarebbero stati al centro di un dibattito
congressuale il cui svolgimento, in tempi ordinari, si sarebbe da poco concluso. Abbiamo invece
deciso uno slittamento dei tempi, per una ragione ben precisa che è anche una speranza vissuta con
trepidazione: quella di poter celebrare in presenza un momento fondamentale e irrinunciabile della
nostra vita associativa. Da mesi stiamo sperimentando a tutti i livelli modalità di relazione, di
incontro, di dialogo, che non hanno certo richiesto minore impegno rispetto a quelle precedenti e
consuete, che si sono anche rivelate efficaci e produttive, ma che sicuramente ci hanno troppo a
lungo privato della bellezza e del calore dello stare insieme, fattore potente e difficilmente
sostituibile di coesione e motivazione.
Ci sono passaggi nella vita di un’organizzazione che chiedono di essere vissuti “in presenza”.
Faremmo enorme fatica a immaginare un congresso, e ancor di più a realizzarlo, in modalità on line.
Per la stessa ragione abbiamo voluto svolgere in presenza questa Assemblea, che di fatto avvia il
percorso congressuale e che sarà immediatamente seguita da un Consiglio Generale chiamato a
scelte importanti per la nostra organizzazione, nell’immediato e in prospettiva. Scelte che è giusto,
oltre che bello, fare insieme e in presenza, anche se questo comporta il rispetto rigoroso di protocolli
e regole di comportamento alla cui osservanza ci sentiamo tutti responsabilmente obbligati.
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www.cislscuola.it
Anche se ragionevolmente si può pensare (e sperare) che al rinnovo contrattuale si arrivi prima che
sia conclusa la stagione congressuale, non mancano certo gli argomenti su cui discutere, né il lavoro
da fare. Le nostre idee, le nostre proposte, i nostri progetti, delineano un percorso di cambiamento,
di crescita e di miglioramento per la scuola e per la società, un cammino che non vogliamo né
possiamo pensare di percorrere da soli: il confronto e il dibattito congressuale devono allora segnare
un momento di ripresa della nostra capacità di coinvolgere nel modo più ampio possibile in un
impegno condiviso il mondo che puntiamo a rappresentare. A partire dalle nostre RSU, dalle nostre
delegate e delegati, dai nostri gruppi dirigenti per i quali il congresso è sempre opportunità di
rinnovamento e di arricchimento. L’intelligenza collettiva dev’essere l’anima che rende nuovo e
produttivo il nostro tradizionale percorso. Coinvolgere, partecipare, discutere, sperimentare,
rinnovare, motivare: queste le parole chiave che dovranno contraddistinguere lo svolgimento del
congresso in tutte le sue fasi, a partire dalle assemblee sui luoghi di lavoro fino alla conclusione
nazionale, nell’intreccio costante da realizzare, ad ogni livello, con la dimensione confederale che ci
contraddistingue e che sempre più ci ha visto e ci vede attivi protagonisti.
La nostra organizzazione deve proporsi e mostrarsi accogliente. Guai se finiamo per vivere in una
torre chiusa. È vero che viviamo tempi nei quali la voglia, l’inclinazione a spendersi “in prima persona
al plurale”, come recita il nostro motto, sembrano essere fuori moda. Eppure dall’esperienza
concreta delle nostre RSU ci vengono anche segnali diversi, di una disponibilità a rappresentare e
negoziare in nome di interessi condivisi. La potremmo anche leggere come una sorta di declinazione
in chiave sindacale della comunità educante.
Fondamentale, per ciascuno di noi, assumere un habitus sindacale piegato un po’ più sulla
“pedagogia” che sulla “giurisprudenza”. Non siate dei legulei, non è quello il nostro mestiere. Siate,
quanto più possibile, animatori.
Abbiate cura di voi. Il rispetto per l’Organizzazione presuppone il rispetto per voi stessi e per le
vostre famiglie. È meglio un sindacalista che trascorre un giorno in più a casa che un sindacalista
scoppiato e insofferente.
Mettere a fattor comune esperienze, idee, risorse. Fate squadra. Chi riesce a organizzarsi meglio,
aiuti gli altri a fare altrettanto. Approfondite la conoscenza della vostra struttura. Il modello che
Ivana vi ha suggerito durante il recente corso di formazione può essere utile per conoscere a fondo
la nostra e la vostra struttura.
Insieme al Congresso, ci attendono altri appuntamenti impegnativi, passaggi di verifica elettorale
che proprio un positivo e produttivo svolgimento del percorso congressuale potrà aiutarci ad
affrontare e superare con buoni risultati. Parlo del rinnovo delle RSU e di quello della componente
elettiva del CSPI. Non aspettiamo che quelle scadenze ci piombino addosso: sono partite che si
vincono giocando d’anticipo.
E visto che le metafore calcistiche sono oggi particolarmente attuali, siate il Mancini della situazione,
grande umiltà, forte umanità, idee chiare; in campo e fuori campo fate gruppo con i compagni,
trovate sempre le giuste intese, perché il vostro talento vale e produce di più se si intreccia con
quello degli altri; con gli avversari agite con lealtà e, quando occorre, con la “grinta sorridente” che
sa riservare loro Giorgio Chiellini.
“Fare squadra” è un’espressione che mi è sempre stata cara, e che ripropone in chiave sportiva il
motto cui ci ispirammo nel congresso del 2017, “Fare comunità”. Non fu soddisfazione piccola
vedere ripreso il termine “comunità” nel contratto che rinnovammo l’anno seguente, chiudendo
una “vacanza” durata una decina d’anni. Ma ricordo anche la seconda parte di quel motto,
“generare valori”, altrettanto carica di significati, ambiziosa e impegnativa per tutti.
Il tempo che stiamo vivendo è quello su cui la drammatica vicenda della pandemia lascia segni
incancellabili e nel quale si impone a tutti di concorrere a un grande compito collettivo, che
potremmo definire di ri-generazione.
E allora mi piace prendere a prestito, in chiusura di questa relazione, un pensiero che ci viene dal
grande filosofo al quale domani dedicheremo una finestra dei nostri lavori per celebrare il suo
centesimo compleanno, Edgar Morin.
Un uomo il cui pensiero è insieme visionario e concreto e che domani si vedrà presentato da un altro
filosofo, Mauro Ceruti, che è un suo e anche nostro grande amico.
Proprio nella prefazione all’ultimo prezioso testo di Ceruti (“Sulla stessa barca”) Morin osservava
che “viviamo nell’età desertica del pensiero che non riesce a concepire la complessità della
condizione umana nell’età globale”.
Morin parla di un “pensiero sbriciolato in tanti frammenti che non riesce a vedere i rapporti fra le
molte dimensioni della nostra crisi: economica, politica, sociale, culturale, morale, spirituale…”.
Da qui la necessità impellente di una parola che anche a noi è cara: rigenerare, rigenerarsi.
La frase che voglio riproporre è una sfida necessaria, alta e bellissima, racchiusa in queste poche,
essenziali parole: “Quello che non si rigenera, degenera”.
E allora non abbiamo scelta, questo è il tempo, anche per noi, della rigenerazione.
6 luglio 2021