Si ripetono in queste ore prese di posizione in cui si paventa il rischio di un eccessivo numero di
assunzioni nella scuola, giudicato incoerente con la prospettiva di un decremento demografico che
farebbe diminuire il fabbisogno di insegnanti e aprirebbe la strada a possibili situazioni di esubero.
Sono considerazioni che lasciano stupefatti, perché bastano poche cifre a dimostrare che le
preoccupazioni manifestate sono del tutto prive di fondamento.
Già lo scorso anno si è visto come su oltre 80.000 assunzioni autorizzate (pari al numero di posti
vacanti) sia stato possibile farne solo 20.000 circa, per mancanza di aspiranti nelle graduatorie da
cui si poteva attingere. Clamoroso poi il flop nelle assunzioni su posti di sostegno, per la mancanza
di personale in possesso del prescritto titolo di specializzazione, conseguibile solo con percorsi
universitari inopinatamente attivati in misura nettamente inferiore al reale fabbisogno e con forti
disomogeneità sul territorio nazionale.
In prospettiva, sono i dati anagrafici riscontrabili fra il persona docente a dirci come il rischio di
esuberi sia del tutto improbabile, se si tiene conto che sono più di 300.000 gli insegnanti con oltre
54 anni di età, il che fa pensare a un esodo per pensionamenti che si manterrà piuttosto consistente
nei prossimi anni.
Ma anche altri dati ci offrono indicazioni interessanti, smentendo ulteriormente che si vada incontro
a un eccesso di assunzioni: il rischio è invece che avvenga il contrario, ossia che i criteri individuati
nel decreto sostegni bis per l’accesso alle modalità di reclutamento restringano di molto il numero
di quelle che sarà possibile effettuare. Se avrà diritto a essere nominato, oltre agli aspiranti in GAE
e GM, solo chi è in prima fascia GPS con tre anni di servizio, degli attuali 100.000 posti vacanti se ne
potranno coprire molti meno dei 70.000 di cui in questi giorni si parla.
Da qui la necessità di modificare quei criteri, se non si vuole ripetere il flop dell’anno scorso e
ritrovarsi ancora con una massa enorme di precariato.
Il ragionamento da fare in prospettiva, in ogni caso, non può essere quello di una meccanica
correlazione tra numero di alunni e numero di docenti, a meno che non vengano smentiti tutti i
ragionamenti, e i conseguenti impegni, sulla necessità di un rinnovato assetto del sistema di
istruzione che tenga conto di alcuni obiettivi indicati precisamente nel Patto per la Scuola. Il
contrasto alla povertà educativa e un accresciuto livello di competenze, punti cardine della strategia
indicata in modo condiviso nel Patto, presuppongono infatti un ampliamento del tempo scuola, lo
sviluppo di attività laboratoriali a supporto di un insegnamento non meramente trasmissivo, una
dimensione ottimale dei gruppi classe, evitando situazioni di sovraffollamento incompatibili con la
realtà di molte strutture scolastiche e con la personalizzazione della didattica. E si potrebbe
continuare a lungo per dimostrare come le politiche degli organici richiedano un approccio meno
semplicistico di quello che si limita a correlare aritmeticamente posti e popolazione scolastica: quel
che occorre è una visione lungimirante, nella quale si punta a mettere le scuole in condizione di
programmare più efficacemente le proprie attività, dal recupero di eventuali debiti (esigenza che
sicuramente investe il prossimo anno scolastico) al rinforzo delle eccellenze.
Se in prospettiva occorre recuperare una modalità di ragionamento meno superficiale e più
coerente all’obiettivo di ridare centralità alla scuola, nell’immediato le stesse esigenze comportano
sostanziose modifiche a un decreto che diversamente potrebbe rivelarsi inadeguato ad affrontare i
problemi che pure il Governo si dice intenzionato a risolvere. Se le disposizioni restano quelle, ci
attende un anno scolastico in cui le criticità riscontrate negli anni precedenti potrebbero riproporsi
e anzi aggravarsi.
Maddalena Gissi, segretaria generale CISL Scuola